“Collezionisti si nasce”
Intervista a Antonio Martino
di Fabio Cavallucci e Jennifer Zanga
Medico di professione, collezionista per passione, Antonio Martino ha un’idea forte dell’arte: la intende non come elemento accessorio, bensì come strumento fondamentale per l’esistenza, una sorta di medicina quotidiana – si potrebbe dire – un integratore necessario. Insomma, un’Arte con la A maiuscola. Per questo non si limita a collezionare, ma cerca di espandere il messaggio artistico. Nel tempo ha elaborato diverse strategie di espansione: nel lavoro, utilizzando l’arte contemporanea in ambito ostetrico per favorire il benessere della madre e del bambino, e nella vita quotidiana, offrendo ad amici e followers selezioni di mostre e di opere sul gruppo Facebook che gestisce. E nel tempo si è costruito una conoscenza larga e approfondita degli artisti e delle opere, una conoscenza che spesso supera – bisogna ammetterlo – quella di tanti curatori. Lo abbiamo intervistato per Art Share, per approfondire il suo modo di intendere l’arte. Anzi, meglio, l’Arte.
Come nasce la sua passione per l’Arte e il collezionismo?
Diversi anni fa, rilasciai un’intervista per una nota rivista online del settore. Fui il primo ad inaugurare questa serie, rivolta appunto ai collezionisti italiani.
Il collezionista successivo, evidentemente dopo avermi letto, affermò pure lui di aver collezionato, come me, le figurine Panini dei calciatori italiani. Ma io avevo 5/8 anni, lui già 25/28, quando furono messe in commercio.
Quello che penso è che un’autentica passione debba essere sostenuta sempre da una bella ed autentica storia da poter raccontare, ricca di episodi, di aneddoti, di successi, di soddisfazioni, ma – perché no? – anche di errori, delusioni e tradimenti.
Tornando alla domanda, ritengo che il filo conduttore di questa mia razionale follia sia stato la bramosia di impossessarmi della bellezza dell’Arte e della sua immortalità, probabilmente per un sano generoso narcisismo, e per appagare così una mia naturale e sensibile predisposizione, sia estetica che concettuale, al bello.
Aggiungo che sicuramente, dal punto di vista psicologico, deve essere sopraggiunto anche un evidente richiamo dal subconscio, a colmare evidentemente una solitudine interiore, che si è acuita certamente durante la crisi matrimoniale, che mi ha condotto al divorzio da mia moglie, più di 30 anni fa… anche per colpa dell’Arte.
Dopo aver militato, già dall’infanzia, in vari settori del collezionismo spicciolo e popolare, sempre dotato di sana passione, proprio in quel periodo, in cui girovagavo a caccia di piccoli oggetti d’arte, la visita nel retro-bottega polveroso e buio di un rigattiere tombarolo romano mi fece incontrare con un’opera di Schifano degli anni ‘70, un cavallino arancione dipinto su di una tela bianca. Ne rimasi ingenuamente folgorato, ed aver scoperto che l’opera in effetti non era autentica, bensì un falso, invece di farmi fuggire dall’arte contemporanea, mi intrigò maggiormente, e mi incuriosì ancora di più ad approfondire l’argomento, inebriato comunque da piacevoli salutari endorfine.
Riflettei e giunsi alla conclusione che il bagaglio e l’approccio culturale scientifico e la familiarità professionale con l’abitudine di dover fare sempre una diagnosi ed emettere una prognosi, uniti allo studio ed all’approfondimento della materia, mi sarebbero ritornati molto utili per capire e tutelarmi in un mondo che per me era tutto da scoprire e che comunque avevo già intuito non essere semplice.
Quindi il mio approccio all’Arte è da sempre passionalmente scientifico, ed oggi dotato, rispetto ad allora, di ultra-trentennale esperienza.
Come sceglie le opere da acquistare per la sua collezione?
Sono le opere che sempre scelgono me, e non viceversa.
Parto sicuramente da un amore infinito per pittura e disegni figurativi, per spaziare volentieri alla pittura astratta-informale, al minimalismo, alla fotografia, alla scultura del ’900.
I video sono importantissimi, e mi intrigano, ma preferisco godermeli dentro un museo.
Sono quindi di ampie vedute, purché si tratti sempre e solo di Arte.
Il tutto sempre super-selezionando, non in base al prezzo di mercato ed alle mode imposte, ma riconoscendo anamnesticamente il rigore e la serietà culturale ed intellettuale dell’artista, con concetti e teorie espresse, uniti ad una voglia di possesso orgasmico, dovuto al mix tra piacere concettuale ed estetico (come normalmente dovrebbe avvenire sessualmente).
Non tollero l’abuso di installazioni ed oggetti astrusi ed insignificanti, che ci propongono moltissimi artisti (soprattutto italiani) delle ultime generazioni, la cui unica preoccupazione mi sembra sia soltanto di vendere qualsiasi invenzione venga loro in testa, fine a se stessa e sempre diversa dall’ultima eseguita.
Per carità, nulla da eccepire, giustissimo, ma stiamo parlando di altro… forse arredamento, quando si salva qualcosa esteticamente.
Da questo nasce la debolezza della maggior parte di loro, che considero “impiegati nell’Arte”.
I pittori dotati di grande mano, collegata ad intelletto sopraffino, hanno sicuramente più chances…
La bellezza per me rimane immortale ed imprescindibile, anche al cospetto di un monocromo o arte minimalista, o installazione.
Una menzione speciale vorrei dedicarla a un opera di Alighiero Boetti, che ho in collezione ed è un mio vanto. Si tratta di un lavoro del 1970, dal titolo 24 Fiumi, che rappresenta in assoluto “un unicum” nella produzione di Boetti e soprattutto il primo progetto del suo lavoro più importante che è i Mille fiumi.
Si tratta di una carta millimetrata e matita, avanti-retro, con indicata con battitura a macchina da scrivere la lunghezza in chilometri appunto di 24 fiumi di tutto il mondo.
Quando fu portato per essere archiviato, la straordinaria Annemarie Sauzeau rimase molto colpita dal ritrovamento di quest’opera di cui nemmeno lei conosceva l’esistenza, rilevandone l’importanza come pietra miliare del lavoro di Boetti sui Mille fiumi.
Io ritengo che le carte ed i lavori concettuali di Boetti siano opere veramente fondamentali per la storia dell’Arte, che il mercato modaiolo poco colto e grossolano penalizza a favore di opere più facilmente vendibili e seriali, anche se parliamo di un genio assoluto come Boetti.
Che cosa c’è in comune tra la sua professione e la sua passione per l’arte?
Come già accennato: l’esame obiettivo, la semeiotica clinica, la diagnosi, la prognosi. Tutto ciò vuol dire rigore e assenza di superficialità.
Come nasce il progetto Partorire con l’arte?
Il progetto straordinario Partorire con l’Arte nacque da una mia personale constatazione: se io ricevo benefici psicologici e fisici nell’interagire con l’Arte visiva, perché non utilizzare questo benessere per accompagnare le donne incinte, creando un corso interdisciplinare di “preludio al parto”, coinvolgendo le future mamme, i mariti, e chiunque avesse avuto il desiderio di approfondire il mistero e la bellezza della nascita, tramite l’Arte?
Ecco quindi che mi rivolgo, per farmi affiancare, ad una psicologa dell’Arte e parte un progetto unico, che ha coinvolto importanti artisti, critici, curatori, direttori di museo, storici dell’Arte, restauratori, collezionisti, psicologi, sociologi, filosofi, giornalisti, insieme a genetisti, ginecologi, pediatri, ecografisti, neurologi e anestesisti.
Fu un successo importante ed ebbe notevole riscontro sui media, anche perché si è confrontato con dati scientifici sostenuti già da studi eseguiti da tempo, soprattutto in nord Europa, dai quali si evidenziavano i netti benefici sia per la madre – già in fase di travaglio di parto che sulla sua eventuale depressione post/partum – sia anche per il feto e poi per il neonato.
Questo progetto era troppo avanzato per il nostro Paese, motivo per cui dopo averlo svolto in 4 prestigiosi musei italiani, come il Maxxi, le Gallerie d’Italia di Milano, il Madre ed il Macro, per mancanza di fondi e di lungimiranza anche della classe politica, che lo sostenne soltanto a chiacchiere, è stato momentaneamente sospeso, quattro anni fa.
Nell’ultima edizione del Macro, per defezione improvvisa di un noto sponsor, ci siamo ritrovati anche a dover sostenere in prima persona dei costi.
La mia grande soddisfazione la ebbi anche quando ne parlai con Marino Golinelli, Presidente dell’omonima Fondazione bolognese, ma soprattutto grande imprenditore farmaceutico, il quale trovò l’idea “geniale”.
Come lei stesso ha dimostrato, l’interdisciplinarità può aprire nuovi orizzonti, ma che ruolo ha l’arte nella scienza medica per lei?
L’Arte nella scienza medica ha vari campi di applicazione dal punto di vista terapeutico.
Sono interessanti gli studi approfonditi fatti con tac cerebrali, che hanno evidenziato modificazioni in seguito all’interazione dell’essere umano con le opere d’Arte.
Per quanto mi riguarda, grazie alla generosità di alcuni importanti artisti amici, ho allestito il Pronto Soccorso di Ostetricia e Ginecologia del San Pietro FBF, di cui sono responsabile, con incisioni pregiate per accogliere con Arte le pazienti.
Ogni giorno pubblica su Facebook (nel gruppo KathARTis) un post con suggerimenti di mostre da visitare e raccolte di opere di artisti di varie generazioni. È come predisporre ogni giorno una piccola mostra di qualità: cosa la spinge a fare questo?
Ho creato un gruppo chiuso, libero ed indipendente, su Facebook, più di 11 anni fa, e sono stato un precursore, visto quanto successo.
In periodo di lockdown, ho deciso di cambiare nome al gruppo da Collezionisti di Arte Contemporanea, a KathARTis, più adeguato e stimolante, che conta più di 13000 iscritti.
Mi fa piacere ricordare che la prima mostra personale su un social, di un grande artista come Luigi Ontani, la organizzai proprio io su Facebook 11 anni fa. Lui accettò e partecipò con grande curiosità ed apertura mentale. La mostra fu curata da Antonio Arevalo, ed ebbe titolo ed opere scelte direttamente dal Maestro.
Sono molto stimolato a continuare questa mia quotidiana avventura-diario quotidiano su Facebook, e ci convivo bene, anche se tutto ciò comporta un costante impegno, guadagnato a spese del tempo che dovrei fisiologicamente destinare al meritato sonno o riposo.
Ma l’entusiasmo, spinto dalla mia grande passione e dalla necessità di esternarla, non mi fa stancare e mi fa sperare che questo mio amore per l’Arte, diventi sempre più contagioso.
Inoltre racconto il mio punto di vista sulla Storia dell’Arte, ed è pure lecito dopo più di 30 anni di trincea, che io mi sia fatto un’idea, sostenuta da una mia comprovata e coerente onestà intellettuale, lontano da influenze e condizionamenti di mercato, anzi… anche perché se aspetto gli addetti… campa cavallo!
Ho precorso appunto i tempi, aprendo questa finestra di qualità su Facebook, spaziando anche molto tra arte antica e moderna, design, architettura, libri e tappeti d’artista, sculture indossabili, sculture ecologiche interattive (bonsai), moda e arte culinaria.
Inoltre ritenendo molto prezioso per tutti noi il tempo, ogni giorno seleziono accuratamente solo le inaugurazioni di mostre più interessanti da vedere sul territorio italiano.
Non ho più voglia di perdere e far perdere tempo.
Recentemente ha iniziato anche a scrivere delle critiche molto severe su certi progetti artistici, mostre o iniziative. Per esempio sull’opera di Francesco Arena realizzata per il Colosseo, o il progetto del cosiddetto Forno del pane del Mambo di Bologna. Quale ragione la spinge a svolgere critiche pubbliche in un paese dove di solito non si critica mai?
È proprio vero, nessuno si sbilancia ad esprimere giudizi e tanto meno critiche. Il politicamente corretto, se ha una parvenza utilitaristica, che comunque non condivido, in ambiti politico-istituzionali, rappresenta invece in questo settore importante della cultura la morte cerebrale, e la sua tomba, perché determina una reazione a catena negativa, che instaura lo stabile galleggiamento della mediocrità e dell’ipocrisia culturale ed intellettuale.
Nessuno ufficialmente critica, nemmeno i critici, che anzi spesso sono adulatori del nulla.
James Turrell, con il suo Roden Crater è nella regione del Painted Desert nell’Arizona del Nord…
Michael Heizer costruisce la sua City, nel deserto del Nevada…
Francesco Arena è invece il primo artista contemporaneo a violentare il Parco Archeologico del Colosseo, il sito italiano più visitato ogni anno con 7.554.544 di accessi solo nel 2019. Questa violenza e violazione, grazie all’Italian Council, che fa più fico detto in inglese, è frutto di un concorso ideato dalla geniale Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero per i Beni e le attività Culturali e me ne complimento. Cioè un fuoco amico, nel senso che lo stesso Ministero crea danni a se stesso. L’artista giustifica la profanazione di un luogo simbolo della romanità con una superficiale frase in lingua inglese nel seguente modo: “Avevo letto Gita al Faro, il romanzo di Virginia Woolf, dove mi aveva colpito una frase in particolare: THE VERY STONE ONE KICKS WITH ONE’S BOOT WILL OUTLAST SHAKESPEARE (La stessa pietra che calci con lo stivale sopravvivrà a Shakespeare)”.
Lei fu una delle principali figure della letteratura del ventesimo secolo, attivamente impegnata nella lotta per la parità dei diritti dei sessi, e militante nel fabianesimo.
Trovo imbarazzante, ignorante e provinciale, doversi prostituire poi alla lingua inglese, dentro addirittura uno dei siti archeologici più antichi e gloriosi e famosi dell’antichità, vanto della nostra storia, unica al mondo!
Ma in quale Paese civile importante, succederebbe una burinata del genere? Forse in Francia ?
No… Made (più chic) in Italy!
Inopportuno, costoso e offensivo in questo momento.
In merito al cosiddetto Forno del pane del Mambo di Bologna, mi sono già espresso con molta sincerità, per cui non ho alcuna difficoltà a confermare di non comprenderne la necessità, l’utilità per qualcuno, e la genialità dell’idea da doversi così enfatizzare, ritenendo che si tratti piuttosto di un restyling di qualcosa che aveva significato negli anni ‘60 e ‘70, quindi 50-60 anni fa.
Ci sarebbero sempre in merito da farsi 1000 domande, ma preferisco terminare questa parentesi affermando che oggi non c’è un clima culturale ed intellettuale che possa sostenere queste iniziative, per cui tutto si risolve veramente nella metafora del forno e del pane, dove il panettiere è l’artista, e l’opera d’Arte è il pane… elementare. Povero pane, povera Arte…
Il museo deve sfornare cultura, concetti e teorie e deve far comprendere a tutti a che serve l’Arte, e far conoscere solo gli artisti più bravi e meritevoli.
L’artista deve tornare ad occupare il primo posto di questa catena, diciamo per rimanere in tema, alimentare.
Oggi purtroppo il sogno di facili guadagni ha indotto molti giovani, troppi, ad avvicinarsi all’Arte contemporanea.
C’è un esercito di “impiegati nell’Arte”, che non hanno nulla a che vedere con gli artisti.
Io non ho nessun interesse a fare critiche personalizzate contro qualcuno, ma purtroppo ritengo che sia fondamentale criticare e far riflettere, chi ha le responsabilità maggiori, in questo fallato sistema.
Non si vive di ingannevoli like.
Come crede cambieranno il mercato e il sistema dell’arte dopo la pandemia?
Il mercato dopo la pandemia non so onestamente come cambierà… So come vorrei idealmente che cambiasse, ma a prescindere dalla pandemia. Il cambiamento che auspico e sogno sarebbe ricco, rivoluzionario e catartico, e sicuramente rigorosamente favorevole agli artisti, alle gallerie, ai collezionisti ed alla cultura, e per nulla disponibile con tutto ciò che non è d.o.c.!
In quale grado l’arte si sposterà online?
Onestamente non lo so quanto virerà online, ma spero il giusto… non troppo!