Del grande artista non ti stanchi mai.
Intervista a Giuseppe Iannaccone

di Santa Nastro

Avvocato, collezionista, studioso degli anni ’30 dell’arte italiana, Giuseppe Iannaccone ci racconta la sua collezione umanista tra arte e libertà. Con un amore speciale per Milano.

Come è nato l’amore per l’arte?

Nasce all’inizio della professione, quando avevo degli incarichi molto belli ma troppo grandi per la mia esperienza di allora. Ero molto giovane, sentivo lo stress che un po’ mi logorava. Fino a quando un amico vide che anche a cena non facevo altro che parlar di lavoro e mi disse “guarda che tu sei su una brutta strada e devi fare qualcosa per te stesso!”. Allora mi ha invogliato a staccare una mezza giornata ogni quindici giorni. Ricordo che al giovedì mattina, infatti, mi dedicavo all’arte, che era ciò che mi piaceva di più. Ho cominciato dunque a frequentare i musei, poi le gallerie d’arte, principalmente raccogliendo i libri che ne parlavano. Ho comprato molti libri in quegli anni, anche perché ero un giovane avvocato e non avevo la possibilità di collezionare ancora. Sono contento del lavoro fatto in quel periodo perché oggi ho una biblioteca meravigliosa, con libri storici che attualmente non riuscirei più a trovare. Attraverso i libri ho preso la passione per le cose che raccolgo ancora adesso.

La sua collezione è nota per unire due mondi differenti eppur vicini. Quello della Scuola Romana, di cui lei vanta una collezione quasi onnicomprensiva e l’arte contemporanea. Che energie tra da queste due rispettive passioni?

In realtà non è una raccolta solo sulla Scuola Romana, ma su tutti gli artisti espressionisti nell’Italia tra le due guerre. Ho messo insieme le opere di coloro che non erano ben visti dalla cultura ufficiale del regime fascista. Erano l’altra faccia di Novecento italiano, la pittura libera, l’arte libera. C’è per esempio un gruppo cospicuo di artisti di Corrente…. Tutti questi artisti raccontavano l’umanità, ponevano l’uomo al centro dell’arte. L’arte contemporanea nella mia collezione non è stata nient’altro che una normale evoluzione.
La collezione degli anni ’30 era nata dallo studio sui libri che menzionavo pocanzi. Questi artisti erano secondo me un po’ sottovalutati. Avevano per me questa sincerità artistica, questa trasparenza nei contenuti e nelle forme, che mi hanno appassionato. Poi però mi sono chiesto: come si fa a fare il collezionista ricercando soltanto nel passato? E quindi quell’umanità, quella libertà e genuinità le ho ricercate negli artisti contemporanei. Sono quindi solo apparentemente due filoni.

Quali sono state le ultime acquisizioni?

Non ricordo temporalmente quale è stato l’ultimo acquisto. La mia passione per gli anni ’30 non si è mai affievolita. Marcio parallelamente. Ho più occasioni di acquisto d’arte contemporanea, naturalmente, però quando riesco a trovare un capolavoro degli anni ’30 mostro l’entusiasmo di sempre. Quindi sono due collezioni che crescono insieme.

In questi giorni di isolamento forzato l’arte la sta aiutando? C’è un’opera particolarmentespeciale?

A casa ci sono le mie opere d’arte contemporanea. Sono circondato da lavori che amo molto e mi soffermo sempre più a guardarli. Proprio perché sono chiuso in casa, cosa per me insolita, oggi frequento maggiormente queste opere: non c’è una preferita, le amo tutte. Ieri guardavo il mio Dana Schutz e dicevo… questo quadro è proprio bello! La pittura, il calore dei colori,… ci sono delle sfumature del pennello straordinarie… Dove casca l’occhio c’è un rinnamoramento. Lì capisci il grande artista: non ti stanchi mai del grande artista.

Nel corso degli ultimi anni ha esposto in qualche occasione la sua collezione. Cosa significa progettare una mostra di una collezione? Come si opera una selezione? Con quali obiettivi?

Ho passato molti anni a sperare che qualcuno si accorgesse della mia collezione. Mi sembrava che avevo fatto una cosa troppo bella perché la gente non se ne rendesse conto. Ma mi ero imposto di non chiedere di esporla, che ci fosse una esigenza spontanea. Alla fine così è stato, perché mi è stata offerta l’opportunità di fare la mostra alla Triennale di Milano e lì ho coronato il mio sogno.

Certo, perché il suo desiderio era quello di avere una prima mostra a Milano….

Non avrei accettato di fare la prima mostra fuori da Milano. Era una collezione che ho dedicato a questa città, era una cosa che le dovevo. Mi piacerebbe, anzi, che Milano se la tenesse stretta. Certo, qualcuno ha avuto modo di meditare perché il successo che l’esposizione ha avuto alla Triennale è stato incredibile.Io stesso non me lo sarei aspettato. Il giorno dell’inaugurazione c’erano 2000 persone… Poi la collezione è andata a Bergamo, poi a Londra (alla Estorick Collection) e anche lì il riscontro è stato travolgente.
Dentro di me ho detto lo sapevo.

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