Claudio Olivieri
Una visone introspettiva dell’arte basata esclusivamente sulla creatività dell’artista e gli strumenti originari della pittura: sono questi i caratteri che ha pervicacemente perseguito nel corso della sua carriera Claudio Olivieri, uno dei maggiori rappresentanti di quell’area denominata di volta in volta “nuova pittura”, “pittura pittura” o “pittura analitica”, definita teoricamente da Filiberto Menna. Con determinazione e pervicacia gli appartenenti a questo movimento (insieme a lui, Griffa, Guarneri, Verna, Pinelli ed altri) hanno tenuto in vita e rilanciato una forma espressiva che molti, prima, avevano dato per morta, restituendo valore all’espressione su tela, ai rapporti tra le forme, le luci e le ombre, i colori.
Nato a Roma nel 1934, ma di carriera interamente milanese, Claudio Olivieri, scomparso lo scorso dicembre, ha scavalcato l’informale, la pop art e l’arte povera per sviluppare un lavoro estremamente rigoroso in cui il colore diviene immagine interiore, espressione del rapporto diretto tra l’io e la tela, trovando la sua piena maturità a partire dagli anni Settanta. Larghe campiture luminose emergono dall’oscurità dando luogo a equilibri sempre vari e nuovi.
Le cinque Biennali di Venezia, documenta di Kassel del 1977 e altre numerosissime mostre in Italia e nel mondo a cui ha partecipato, attestano la stima di cui il suo lavoro ha goduto da parte di curatori, critici d’arte e direttori di musei. Il mercato ha tardato a riconoscere il suo valore come in generale di tutti coloro che hanno fatto parte di questo ambito artistico italiano, ma il fatto che i paralleli americani ed europei come gli appartenenti al Color Field Painting e a Support/Surface siano sempre più valorizzati è indice di riconoscimento che non dovrebbe tardare a venire. Se i prezzi d’asta non superano ancora i 20.000 euro, ora che tra l’altro l’artista è scomparso è molto probabile che assisteremo a un progressivo riavvicinamento con i valori dei paralleli colleghi internazionali.