“Anche se l’arte andrà online, io continuo a prediligere l’aspetto umano.”
Intervista a Giorgio Fasol
di Fabio Cavallucci e Jennifer Zanga
Nato a Verona il 21 luglio 1938, commercialista in pensione, Giorgio Fasol, dalla sua grande passione per l’arte contemporanea ha fatto nascere una significativa raccolta privata: AGIVerona Collection. Lo abbiamo intervistato per Art Share per farci raccontare come è nata la sua collezione e come è riuscito a creare una raccolta importantissima senza investire miliardi.
Come nasce la sua passione per l’arte e per il collezionismo?
La mia passione inizia da bambino: ho sempre collezionato, prima le figurine dei calciatori, poi i giornali sportivi, infine i francobolli. Il mio primo incontro con l’arte è avvenuto il giorno in cui mi sono diplomato: con i miei risparmi estivi di 365 mila lire – che allora, nel 1958, era un buon tesoretto, un anno di stipendio di un impiegato – mi sono diretto verso l’unica galleria di Verona del tempo per cercare un’opera di Giorgio Morandi. Non conoscevo l’artista bolognese, avevo letto un servizio su una rivista inerente una sua mostra e rimasi colpito dalla sua bravura, quindi iniziai ad interessarmene. Mi rivolsi all’unica galleria di Verona. Gentilmente la gallerista mi disse: “Giovanotto, come scelta non è male. Non ho opere di Morandi, ma potrei procurartene una”. Ma a scanso di equivoci, mi disse già il prezzo: un milione e mezzo. Dovetti salutarla e rinunciare all’acquisto. Un po’ di tempo dopo, con quei soldi, acquistai degli artisti veronesi che poi ho perlopiù regalato.
Qualche anno dopo, fu l’amico artista Renzo Sommaruga, che mi spinse ad allenare la vista guardando cose nuove. Egli era anche stampatore e produceva libri d’artista in edizioni con opere e poesie. Ricordo ancora l’impressione che ebbi quando vidi tra le sue stampe un’edizione di Capogrossi. Un colpo di fulmine. Sempre frequentando Sommaruga, durante una visita allo studio di Giuseppe Ajmone, ebbi l’occasione di imbattermi per la prima volta in un lavoro di Fontana, dal quale rimasi subito affascinato. Ricordo che dopo un’attesa di più di un’ora, Ajmone usciì fuori saltellando come un bambino con un disegno di Fontana in mano. Lo aveva appena acquistato da un ragazzo che lavorava nel suo studio. Da quel momento mi misi in cerca di un’opera di Fontana, finché non ne trovai una di grande qualità ad una mostra museale alla Galleria Cattaneo di Brescia. Era una mostra bellissima, c’erano tre Fine di Dio, me le ricordo ancora. Chiesi il lavoro più piccolo, un’anilina grigia con due ovali bucati bianchi: bellissima. Provai a chiedere il prezzo: costava tre milioni. Io ne avevo a disposizione solo uno. Ma il desiderio di averla era così forte, che proposi di lasciare un milione di cauzione, con la promessa di saldare il debito nel più breve tempo possibile e di ricevere l’opera quando avessi finito di pagare.
Lì poi scattò un altro fatto. Cattaneo mi disse: “Tu fai bene a comperare Fontana, ma ora ti faccio vedere un giovane che tra qualche anno sarà famoso come Fontana”. Andò in magazzino e mi srotolò una grande carta tela con delle S e delle frecce nere: era un Kounellis enorme. Credo di averlo poi rivisto nella retrospettiva alla Fondazione Prada. Bellissimo. “Quanto costa”, chiesi io. “Un milione”. Mia moglie, con i piedi per terra più di me, mi spinse a declinare. Avevo fatto già un debito di due milioni, come avrei potuto farne uno in più? Ma ora, col senno di poi, sarebbe stato molto meglio se l’avessi preso.
Questo è stato comunque il momento in cui ho sentito qualcosa dentro, una forte passione per il collezionismo.
Conobbi anche Panza di Biumo, che considero il più grande collezionista del dopoguerra. Una volta, stavamo guardando dei multipli, e lui mi mostrò quelli di Frank Stella e di Ellsworth Kelly. Fu così che mi aprii al mercato internazionale. Poi è cominciata anche la passione per i giovanissimi.
Come sceglie le opere da acquistare?
Io dico che prima di tutto occorre avere una conoscenza, sia del mondo dell’arte che della storia dell’arte, ma anche dei giovani artisti contemporanei. Una buona conoscenza ti permette di fare una prima scrematura, ad esempio, se ci sono cento opere e ne scremi ottanta, ne restano venti, quelle che rimangono logicamente le scegli grazie all’intuito. Per me deve scattare una scintilla di fronte all’opera.
Non ho mai comprato opere per sentito dire, soprattutto la pittura per me deve essere vista dal vivo, nella realtà.
Come seleziona i giovani artisti, per i quali ovviamente la conoscenza conta meno, visto che portano avanti nuovi linguaggi?
Non ho mai acquistato direttamente dagli artisti.
Tanti anni fa, in una collettiva, mi è capitato di vedere esposte due grandi tele di un giovane al tempo sconosciuto, e colpito da questi lavori decisi di chiedere informazioni al curatore, il quale mi presentò direttamente l’artista: era Tomaso De Luca. Quest’ultimo mi disse che erano in vendita a due mila Euro, ma sentii che il giovane era restio nell’avere un rapporto con le gallerie. Indugiai sull’acquisto, e dissi all’artista che avrei comprato le sue opere in futuro se si fosse appoggiato ad una galleria. Un anno dopo mi contattò per comunicarmi il nome della galleria con cui aveva stretto rapporti, la galleria Monitor a Roma. Come promesso, mi recai sul posto e comprai le tele: le pagai cinquecento Euro in più rispetto ai due mila di partenza, ma sono contento di aver preservato il sistema dell’arte.
Talvolta le è capitato di vendere le sue opere?
Purtroppo sono costretto a vendere un’opera all’anno per continuare a collezionare. Mi trovo sempre di fronte allo stesso bivio: smettere oppure continuare, e per intraprendere quest’ultima strada mi trovo obbligato a vendere, con non poco dispiacere. Purtroppo non ho fondi extra.
Mi piacerebbe molto organizzare una mostra fotografica delle opere vendute: posso garantire verrebbe una mostra di tutto rispetto. Ci sarebbero opere bellissime di artisti come MaurizioCattelan, o di Alighiero Boetti o CyTwombly, di cui possedevo un’opera del ’59, acquistata in una galleria a Milano: una tela un metro per un metro, di un bianco sporco con due virgole di colori differenti, una rossa e una verde, e sotto scritto ROME 1959. L’ho rivenduta poi all’inizio degli anni Settanta.
Avevo anche un lavoro di Mario Schifano: erano due tele unite 60×180 circa sovrapposte, del 1960 con le due C della Coca-Cola, una bianca e una rossa. Era un’opera bellissima, me la sogno ancora.
Quanto conta l’aspirazione all’investimento nell’acquisto di opere secondo lei?
Penso che non debba predominare esclusivamente l’aspetto economico, l’arte va amata e a me personalmente interessa l’opera sopra ogni altra cosa.
Ha mai acquistato opere in televendita o su piattaforme web? Cose ne pensa?
No, tutt’altro.
Penso però che sarà il futuro delle vendite e probabilmente anche io andrò a vedere le opere su internet. Ti dico di più, io ho acquistato una sola volta all’asta, una casa d’asta di Londra, era un’opera di un’artista italiana, ma prediligo l’aspetto umano, per me prevale ancora. Ma vedremo come cambieranno le cose nel prossimo futuro.
Come pensa che cambierà il mercato dell’arte dopo la pandemia?
Cambierà per tanti motivi: credo che andremo, e in parte stiamo già andando, incontro ad una crisi profonda, anche per l’arte. Questa cosa mi rattrista molto, soprattutto per i giovani artisti. A tal proposito sto vendendo un’opera per sovvenzionare gli artisti emergenti, anche se oggi vendere è più difficile, mi chiedo spesso se l’opera può essere venduta al suo prezzo originale oppure dev’essere venduta al 20-30% in meno, a causa della situazione che stiamo vivendo.
Mi ha fatto specie sapere che il MoMA ha dovuto licenziare il 60% dei dipendenti e che sta vendendo le opere per sopravvivere economicamente. Devo ammettere che questa crisi mi fa paura, perché è generale, anche se sono sicuro che ci sarà una ripresa.
Come vede la sua collezione in futuro?
Attualmente ho una ventina di opere depositate al Mart.
Ho diverse idee, ma non ho ancora pensato concretamente cosa fare. Valuterò anche sulla base delle richieste da parte dei musei. Ho fatto una convenzione con l’Università di Verona, questa scelta può aprire nuove strade, anche se ora siamo in un periodo di stasi data l’attuale situazione.
Ho dato in comodato per 5 anni ottanta delle mie opere all’Università: l’idea era quella di nominare uno studente come tutor di ogni opera (ad oggi sono già 30-40), e far presentare loro l’opera scelta attraverso video e un’intervista all’artista, pubblicarla su Youtube e trasmetterla attraverso la radio dell’Università. Oggi sono già in rete 10 video su www.univr.it/it/contemporanee-contemporanei.
La cosa che mi ha sorpreso di più è stato l’entusiasmo da parte degli studenti ma soprattutto dei docenti: l’iniziativa li ha talmente coinvolti da creare il “Comitato del contemporaneo”. I vari professori sceglieranno un’opera, cercando di scoprire la contemporaneità della propria disciplina attraverso quest’opera.
Io sono molto fiducioso perché se in un periodo di stasi come questo ci sono stati questi primi risultati chissà alla normale ripresa della vita dell’Università.