Alessandro Celli, il noto collezionista appassionato di arte contemporanea, si racconta nell’intervista di Paolo Antognoli

Capire il fenomeno del collezionismo contemporaneo non significa guardare super partes da un piedistallo, ma anche scendere a terra per confrontarsi in modo ravvicinato con le ragioni di chi colleziona. Questa piccola premessa per cercare di avvicinare la storia di Alessandro Celli e il suo approccio al collezionismo.

Paolo Antognoli: Dunque, Alessandro Celli, bresciano, classe 1966, mi piacerebbe potessi introdurre il tuo profilo, la tua collezione e il tuo interesse al collezionare.

Alessandro Celli: “Privato collezionista per pura passione, con un leale distacco nei confronti del mercato e del sistema che ruota attorno ad esso. Per vivere mi occupo di consulenza aziendale, ho una società nel settore della sicurezza sul lavoro e normative ambientali.
Fui invitato da Bice Curiger, in veste di intellettuale, a scrivere una recensione sul volume : “Lo stato dell’Arte di Vittorio Sgarbi” per la 54a Biennale di Venezia, nel 2011, diretta dalla storica dell’arte e critica Bice Curiger. Purtroppo con Vittorio Sgarbi il Padiglione Italia non si fece annoverare questa Biennale fra le più memorabili”.

P.A.: Vorrei anche chiederti da dove hai iniziato a collezionare e quale collezione hai cercato di costruire nel tempo? Procedi sulla base di un progetto o di un colpo di fulmine?

A. C.: “Inutile dirti da dove sono partito, ben poco importa: chi non ha fatto e/orrori ai primi passi? Non ho mai conosciuto un collezionista di primo pelo mettersi a parete Ian Wilson, Andrè Cadere, Wolfang Laib, oppure Arnulf Rainer. Comunque anche io sono inciampato su qualche figurativo del novecento italiano da cui sono risucito a fuggire prima del tempo.
Posso invece dirti che nel mio percorso ho approfondito le prime apparizioni di Lucio Fontana nel concettuale, con particolare riguardo ai buchi, che tuttora mi incantano rispetto ai tanto acclamati tagli.
Ho dato sempre importanza all’arte povera degli anni settanta, con un occhio di riguardo verso l’incompreso Emilio Prini e l’elegante Giulio Paolini, ho messo in dialogo l’operatore culturale Ugo La Pietra con la poesia di Ketty La Rocca, di Gina Pane e di Francesca Woodman, non mi spaventano le reazioni di chi può vedere alcuni pezzi di Günter Brus, Rudolf Schwarzkogler e di Otto Muehl.
Mi piacciono anche i forti contrasti: una concettuale opera di arte povera anni settanta accanto a Shirin Neshat e a Roman Opalka, non stancano mai.
Uno spazio alla pittura lo lascio ma affinché possa viverlo e leggerlo, preferisco dedicarlo a Gastone Novelli, Osvaldo Licini e alla scultura di Medardo Rosso o di Adolfo Wildt, ma anche di Claudio Parmiggiani.
Del resto l’arte è un linguaggio con il quale dobbiamo confrontarci e non possiamo esimerci quindi da quello attuale, ma sui contemporanei preferisco non fare nomi, il collezionista, si sa, è piuttosto geloso e non ama dirti proprio tutto, eh?

P.A.: Quali artisti o correnti stai seguendo in questo momento?

A. C.:Ne ho studiati diversi negli anni. In questo periodo il concettuale anni settanta.
Oggi la mia collezione sta inseguendo Emilio Prini, alcuni studi su carta di Lucio Fontana, Giulio Paolini, Giovanni Anselmo e Luciano Fabro.
Poi diversi artisti emergenti ma come tutti i collezionisti sono geloso e non amo svelare le mie ambizioni, finchè il mercato rimane in silenzio si riescono a fare buoni acquisti e non bisogna spargere la voce, diversamente diventano treni persi”.

P.A.: In che modo nasce un tuo nuovo interesse per un’opera? Può anche essere suggerito dal mercato e dalla quotazioni d’asta?

A. C.: “Il mercato sale e scende, le variabili sono molteplici, anche se spesso le regole sono dettate dai principali galleristi che espongono nelle fiere internazionali, la storia dell’arte ha un ruolo marginale. Anche i critici, ahimè, hanno il loro peso sul mercato.
Negli anni recenti il mercato si è poi allargato. Paradossalmente un collezionista sfoglia cataloghi d’asta ogni mese ed in galleria ci entra sempre meno, legge più volentieri di critici e di “influencer” che trattano di mercato che non di arte. E la cultura va in secondo piano”.

P.A.: In che modo ti informi? Tramite galleristi, influencers, consulenti?

A. C.:I galleristi sono una fonte inesauribile per nuove scoperte, da non confondere con i mercanti, però”.

P.A.: Ho notato proprio in questi giorni la tua partecipazione a blog dedicati al collezionismo.

A. C.:Sono il moderatore del forum di FinanzaOnLine, sezione http://www.finanzaonline.com/forum/investimenti-arte-e-collezionismo/
Il Forum è un luogo social ed un modo per rendere più concreta l’utilità di una diffusione culturale, in un sistema arte in cui le redini sono spesso in mano al mercato ed ai soggetti ad esso correlati, per dar voce quindi ai collezionisti quali protagonisti attivi, di tale sistema. Esso vuole essere un punto di incontro di assoluta trasparenza”.

P.A.: Vorrei chiedere quale sia il tuo parere sulla situazione italiana del collezionismo, in quanto acuto osservatore della scena. Come giudichi l’andamento del mercato e se nel tuo caso ad esempio ti relazioni con gallerie o case d’asta?

A. C.: “In questo periodo il collezionismo è molto concentrato sull’investimento e si possono generare i tipici scenari della finanza, dalle bolle speculative a qualche inaspettato cortocircuito, e il collezionista di ciò è consapevole, almeno si spera.
Poi è chiaro che si perde la visione di prezzo e di valore: fa scalpore un record price e può alzare la febbre del collezionista incauto, se non riflette che dietro a quel record ci può stare un’operazione per far appunto alzar la febbre del mercato. Ma la temperatura rimarrà sempre alta?
Non mi considero un collezionista etico ma guardo al mercato con un rispettoso disincanto”.

P.A.: Acquisti in Italia o anche all’estero – oppure online?

A. C.:Italia ed estero, principalmente gallerie e case d’asta.
Gli acquisti si possono anche gestire on line ma la visione dell’opera dal vivo per me resta fondamentale”.

P.A.: Come vedi uno sviluppo futuro per le gallerie italiane?

A. C.: “Il sistema sociale e culturale oggi è abbastanza impoverito, i galleristi devono quindi vendere speranze di profitto che non arte.
Ritengo che tutto il sistema arte, dai galleristi, agli archivi e le fondazioni (complici del sistema mercato) dovrebbero promuovere arte prima di fare da promotori finanziari. Ma questa è oggi la nostra Italia”.

P.A.: In un intervento trovato per caso mi ha colpito un post dove raccontavi di aver visitato la casa di un notaio e dove hai distinto una raccolta da una collezione d’arte. Potresti raccontare questo aneddoto e far capire in che consiste tale distinzione?

A.C.: “Molti anni fa nello studio di un notaio vidi una scultura di Melotti sulla scrivania, un bellissimo Dorazio a parete, un Kosuth dietro il pianoforte (non a coda, però), un capolavoro coloratissimo di transavanguardia e una grande fotografia della Beecroft.
“Bella raccolta” dissi al notaio, che mi rispose con un freddo “sono un collezionista”.
Così chiusi con: “eh, no caro notaio, una collezione ha un’anima, questa ha solo tanti soldi, quindi è una raccolta”!

A mio modesto avviso una collezione può anche essere variegata da linguaggi differenti ma in qualche modo è indispensabile che possano dialogare fra loro, l’identità del collezionista si deve intuire.
Un assemblaggio di “belle opere” non fa una collezione se non hanno una linea ed un pensiero finalizzato a metterle in comunicazione. Per dirla in altri termini un buon catalogo Sotheby’s non è una collezione, semmai una raccolta di buone opere d’arte”.

P.A.: La domanda precedente implica anche un punto di vista riguardo alla presentazione e all’allestimento di una collezione. Nel tuo caso conservi le tue opere in uno storage o le mostri a casa?

A.C.: “Georges Henri Rivière affermò che il successo di un museo non si valuta in base al numero di visitatori che vi affluiscono, ma al numero di visitatori ai quali ha insegnato qualcosa, ma oggi è più facile trovare questa forma di ecomuseo in casa di un collezionista che non in un luogo dove paghi il biglietto per entrare.
In fondo collezionare è come indossare un abito: se ci devi vivere, con le opere, non puoi dimenticare che prima o poi un acquisto non a tua misura ti andrà stretto, e cercherai di collocarlo nella parete più nascosta.
Il percorso è personale e culturale, ma alla collezione una personalità gliela devi dare, per non ritrovarti dentro un magazzino di oggetti in cui non ti riconosci, con cui non dialoghi.
Con l’arte ci devo vivere, quindi le conservo a casa e in ufficio, dove trascorro la buona parte del mio tempo”.

P.A.: Rivendi anche certe opere in collezione?

A. C.: “Per migliorare la collezione talvolta è necessario vendere qualche opera, anche se ogni volta è un dispiacere abbandonare un oggetto che ha fatto parte della tua vita e non sempre si riesce a stabilire se quell’opera era cosiddetta minore oppure no”.

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